Mattia: a life-changing experience

Un divano bianco testimone di un’intera vita, abbigliamento da travet sull’orlo di una crisi di nervi, la gigantografia di un avatar digitale come una mostruosa foto-profilo a grana grossa, una buona dose di realismo alternato a comicità alternata a una narrazione a tratti antologica, e altrettanta di teatro d’autore. Con questi ingredienti (scenici e non) ha debuttato lo scorso giovedì in prima nazionale al Teatro Filodrammatici Mattia: a life-changin experience, produzione del Teatro Filodrammatici stesso scritto e diretto da Bruno Fornasari, e interpretato da Tommaso Amadio, Marta Belloni, Matthieu Pastore, Valeria Perdonò e Michele Radice (dove verrà replicato fino al 9 marzo).

Io l’ho visto ieri sera. E l’effetto empatia per l’impiegato strizzato in una vita che non sente più sua, velleitario dell’evasione, ammanettato nel perfetto ritratto della famiglia borghese, asfissiato dagli orpelli costosi con cui riempie il vuoto pneumatico della sua inconsistenza, ossessionato tanto dall’apparire quanto dal (voler finalmente) essere, è stato immediato e totale. Anche perchè questo Mattia è nato il 15 giugno, proprio come me, e i compleanni che scandiscono le tappe di un’esistenza votata al fallimento e alla frustrazione e che vira verso il bisogno di un cambiamento totale hanno rappresentato narcisisticamente una gradita sorpresa! Potere delle coincidenze! Parentesi personale a parte quello che rimane dopo la visione di questo spettacolo è un’ottima prova interpretativa da parte di tutto il cast, carta vincente capace di dare corpo a qualche lacuna nella sceneggiatura e alla sensazione di una certa mancanza di idee.

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Ispirato al pirandelliano Il fu Mattia Pascal, storia della più celebre life-changing (con annessa morte simulata) della letteratura italiana, il Mattia  (anche lui Pascal) di Fornasari è una sequenza di scene senza ordine cronologico, frammanti di un’ esistenza ossessionata dalla mediocrità tenuti insieme dal racconto degli attori, ora reali personaggi della vita (e della finta morte) di Mattia, ora ensamble di voci narranti, storia di una vita che va troppo stretta a chi si trova a viverla suo malgrado.

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Un cambiamento che, come per il Mattia di inizio secolo, passa attraverso l’annullamento della propria identità per vestire i panni di qualcunaltro, di un qualcuno inventato a tavolino, in un’epica sfida contro aspettative altrui e convenzioni sociali per arrivare finalmente a “trasformare chi siamo in chi vorremmo essere”.

Se tuttavia per il Mattia di Pirandello è relativamente facile sparire, far perdere le proprie tracce, e reinventarsi con l’identità (fittizia per la società, ma così autentica per lui) che ha sempre sognato di avere, non lo è altrettanto per il nostro Mattia contemporaneo, prigioniero della propria gabbia esistenziale tanto quanto dei limiti invisibili imposti dall’era digitale. Nell’epoca dei social network, del “posto ergo sum”, dei Chi l’ha visto? , delle carte di credito e dei dati fiscali, ogni nostra azione è perennemente tracciata, e cambiare identità e vita potrebbe essere un’impresa impossibile. Come risulta impossibile per un Mattia di oggi sfuggire a chi si dovesse mettere sulle sue tracce, perchè purtroppo “la macchina della vita riesce a punirti proprio quando sei sul più bello e te la stai godendo”. E anche passando tutta una vita a scappare dalla propria vita c’è sempre il rischio che arrivi qualcuno a cercarci, a metterci i bastoni fra le ruote, e a riportarci di peso alla (ir)realtà da cui stavamo fuggendo.

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A tal proposito non risulta di troppo, a margine delle note di regia, la breve autobiografia di Frank M. Ahearn, ex- investigatore privato, esperto di skip tracing, che , dopo una vita passata a scovare chi non vuole più essere rintracciato, dà preziosi consigli a chiunque voglia “tagliare la corda” e cambiare vita con il libro How to disappear-the authoritative guide to disappearing.

Uno spettacolo godibile, dalla fattura autoriale che ci mette di fronte, con sfrontata attualità, a quanto le nostre vite ordinarie siano preordinate da legami a scadenza, tasselli insignificanti di un mondo (come dice il regista) a “obsolescenza pianificata”, un mondo in cui siamo tutti novelli Mattia Pascal in cerca di una seconda possibilità, di un’alternativa, di una via di fuga da una famiglia che ci va stretta, da un lavoro che ci aliena, da un’esistenza che non sentiamo appartenerci, assediati da una pervasiva virtualità. Un mondo in cui il proprio sè più autentico non è che un’appendice inutile.

Credits:

http://www.teatrofilodrammatici.eu/website/un-diario-di-bordo-per-il-backstage-di-mattia-a-life-changing-experience/

13 febbraio / 09 marzo 2014
MATTIA 

a life changing experience
ispirato a Il fu Mattia Pascal

di Luigi Pirandello

di Bruno Fornasari
con Tommaso Amadio,

Marta Belloni, Matthieu Pastore, Valeria Perdonò, Michele Radice

scene e costumi Erika Carretta

disegno luci Enrico Fiorentino

suono Andrea Diana
regia Bruno Fornasari
produzione Teatro Filodrammatici

INFO E PRENOTAZIONI

Tel. 02.36.72.75.50

biglietteria@teatrofilodrammatici.eu

www.teatrofilodrammatici.eu

Enrico IV al Teatro Litta

Sono appena stato a vedere Enrico IV di Pirandello in scena al Teatro Litta di Milano fino al 16 febbraio.

Non mi dilungherò tessendo le lodi sperticate dello spettacolo. A quelle ci hanno già pensato giornalisti ben più esperti del sottoscritto in recensioni decisamente più accreditate. Lodi meritatissime e del tutto condivisibili, per altro.                                                                                                                                                        

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Quello su cui voglio soffermarmi è infatti un aspetto poco sottolineato di questo Enrico IV: la cura del dettaglio. Soprattutto in un epoca come la nostra dove lo skill commerciale, la necessità di “vendere” (anche a teatro), o il sentirsi costretti dai limiti imposti da un sempre più pervasivo “low budget” talvolta finiscono con lo schiacciare l’aspetto qualitativo di un’opera. Ma non è stato questo il caso. Grazie a un cast di giovani ma ugualmente talentuosi attori, alla scelta di una scenografia dal notevole impatto visivo, a costumi dove è stato piacevole riscoprire un certo gusto sartoriale troppo spesso dimenticato in teatro, il giovane regista Alberto Oliva ci restituisce un Enrico IV assolutamente calato nel solco della tradizione, ma con scelte registiche originali, alcune funzionali al coup-de-theatre finale. La poetica pirandelliana è infatti rispettata ed enfatizzata in tutti i suoi aspetti salienti (il tema della follia, l’apparire contrapposto all’essere, la lotta con le convenzioni sociali perennemente votata allo scacco, la decadenza morale della borghesia), ma tre elementi danno una inedita mobilità al tutto: l’uso di maschere (maschere vere, non solo ideali) dietro alle quali, come avvoltoi morbosi, i personaggi dileggiano la carcassa annichilita del povero “imperatore” che conduce la sua vita da alienato fuori dal tempo e fuori dallo spazio, e che  donano una inaspettata plasticità all’interpretazione; la riscoperta del metateatro, per cui l’improvvisamente rinsavito protagonista riemerge e ci deride dalle quinte seduto su poltroncine rosse ribaltando la percezione del pubblico; il monologo di Enrico, pazzo tra migliaia di altri pazzi, è un j’accuse indirizzato direttamente alla platea.

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Inchiodato alla sua stessa finzione, abbandonato per comodità alla sua condizione di malato mentale, impossibilitato ormai a “deludere tutti” rivelando di essere guarito dal trauma che l’ha colpito durante la ferale cavalcata in costume, Enrico ha come unico vantaggio di questa condizione di finto pazzo, circondato da una perenne messinscena esistenziale, di poter dire sempre quello che sente, libero dalle convenzioni imposte alla e dalla presunta sanità mentale, ma allo stesso tempo schiavo di una ricerca di se stesso che non si traduce altro che in un infinito inganno da cui, anche nella rivelazione finale, sarà impossibile affrancarsi. Servi come ruffiani prezzolati in abiti medievali, infermieri di un tragico “malato immaginario”, amici fasulli armati di “buone intenzioni”, che ammantano dietro un alone di paternalistico assistenzialismo tutta la loro curiosa morbosità. Sono loro i burattini nelle mani del grande burattinaio Enrico, oppure è lui il pupazzo ora sballotato, ora imprigionato dai capricci delle loro meschine aspettative?

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La risposta non conta. Quello che resta, infatti,  è che Alberto Oliva ci restituisce un personaggio a tutto tondo, che sublima la sua condizione di “piccolo borghese del Novecento fino alle altezze di un personaggio da tragedia greca”. L’inganno diventa l’unica verità, il sogno si sfilaccia e lascia intravedere (forse) la trama di una qualche realtà. Questo Enrico IV è in definitiva una storia di emarginazione, di solitudine, di abbandono, di sadica vendetta, di catarsi a metà e allo stesso tempo empatia. La nostra. Per una condizione che in qualche modo ci appartiene, nostro malgrado. In questo sta la sua schiacciante modernità. E quel che conta di questa versione è che Pirandello ne sarebbe stato certamente soddisfatto.

dal 21 gennaio al 16 febbraio
produzione: LITTA_produzioni / Il Contato / Teatro Giacosa di Ivrea – ENRICO IV – di: Luigi Pirandello – regia: Alberto Oliva – con: Mino Manni e con Davide Lorenzo Palla, Giancarlo Latina, Daniele Nutolo e Sonia Burgarello – foto di scena e immagini scenografia: Valentina Bianchi – musiche originali: Bruno Coli

Credits:

http://www.teatrolitta.it/teatro-spettacoli-teatrali/stagione-13-14/enrico-iv-402.html

http://guidaxg.wordpress.com/2014/02/02/enrico-iv-al-teatro-litta/

http://www.ilgiornaleoff.it/le-maschere-di-alberto-oliva-per-lenrico-iv/